di Paolo Bonini
È stata annunciata una nuova frontiera: il Metaverso. Si tratta di una dimensione digitale a cui l’utente si connette utilizzando strumenti fisici, come un casco, occhiali e dei controlli per mani e gambe, avendo l’impressone di separarsi dalla realtà e di entrare in un vero e proprio spazio digitale. È l’ultimo prodotto che le imprese del settore tecnologico intendono proporre al pubblico. Ma quali sono le conseguenze sociali?
L’idea nasce da un romanzo di fantascienza del 1992, Snow Crash, ed è stata esplorata nel cinema a intervalli regolari dalla fine del secolo scorso: The Matrix (1999), Il mondo dei replicanti (Surrogates, 2009), gli episodi della serie Black Mirror (15 Million Merits, 2012; San Junipero, 2013; Striking Vipers, 2019; Ready Player 1, 2018). Tutte queste opere descrivono un mondo in declino e distopico, forse perché l’idea di separare il corpo dalla coscienza genera inquietudine.
La realtà del Metaverso muove adesso i suoi passi nel contesto dei videogiochi e in quello dei social network. Si tratta di due scenari in cui una realtà digitale immediata può svilupparsi in due modi generando questioni politico-giuridiche diverse. Nei videogiochi-metaverso (The Sandbox, Fortnite, Roblox, prima ancora Second Life), gli utenti si trovano in contesti in cui possono acquistare ‘terreni’, utilizzando valute fittizie, generate con tecnologia blockchain, e compravendere elementi digitali, tra cui beni mobili e immobili ‘unici’, cioè registrati in codici informatici non alterabili (Non Fungible Token – NFT). È un metaverso speculativo, in cui gli investimenti delle imprese reali stanno aumentando. Questa è un’opportunità per chi ha capitali, ma un rischio per gli utenti che intendono intrattenersi e finiscono per essere trascinati in un contesto economico che non padroneggiano.
Il secondo tipo di Metaverso è un ambiente digitale usato per comunicare a distanza in modo immersivo. Uno strumento utile alla didattica (come dimostra il fatto che il 2 luglio è stata discussa per la prima volta in Italia una tesi di laurea nel Metaverso), al lavoro, alle relazioni personali. Questo è il prodotto su cui sta investendo la società guidata da Zuckerberg, un tempo Facebook Inc., adesso ribattezzata Meta Inc.
Le sfide di questa nuova frontiera sono diverse. Come la maggior parte delle tecnologie basate sull’Intelligenza artificiale, anche il Metaverso consente alle imprese digitali di lucrare su due mercati, ricalcando la situazione sperimentata con i Social Network. Il primo è quello delle inserzioni pubblicitarie: anche in queste piattaforme è possibile vendere e comprare spazi per promuovere prodotti o per fare attività politiche ed elettorali. Il secondo, occulto, è quello dei dati, necessari per far funzionare la macchina della piattaforma e per offrire un risultato sempre più precisi, come la ricerca sulla situazione del traffico, il prodotto migliore da comprare, l’utente o gli argomenti più compatibili “suggeriti” dagli algoritmi etc… Il mercato dei dati è tutto a carico dell’utente. Per ottenere un servizio apparentemente gratuito, si forniscono gratuitamente innumerevoli informazioni ponendo la piattaforma nella posizione di conoscere l’utente e orientarne le scelte.
La regolamentazione pubblica dovrebbe risolvere questo problema. La sfida, però, è molto difficile: le piattaforme, infatti, sono soggetti privati con un’estensione globale e una presa immediata sugli utenti. In altre parole, superano i confini territoriali e le risposte giuridiche degli Stati. Inoltre, sono loro stesse a dettare regole che disciplinano l’esperienza (che rischia di diventare la “vita digitale”) delle persone in tempo reale, riscrivendo la definizione stessa di concetti, oggi giuridici, come “hateful speech” (incitamento all’odio) o “fake news” (disinformazione, frode). Oltre alla privatizzazione del diritto, nel Metaverso aumentano anche i rischi di adescamento e raggiro di persone deboli da parte di utenti nascosti dietro identità che possono essere totalmente falsificate anche nei connotati apparenti.
Vi sono poi questioni sociali ed etiche. La gran parte della popolazione non riesce più a socializzare, a riflettere, ad annoiarsi senza internet e i social network. Nel lungo periodo, una tecnologia come il Metaverso potrebbe essere lo spazio-tempo in cui le persone si rifugiano per eludere un delle parti parti peggiori della realtà (la noia, la fatica etc..) promettendo una falsa idea di ‘reale’ in una dimensione digitale. Questa componente, però, per quanto faticosa, è anche quella più autentica che maggiormente aiuta a crescere. Su questo occorre vigilare. Già attualmente i social network sono sospettati di aumentare disturbi psicologici come ansia e narcisismo. Il Metaverso potrebbe estenderne la portata.
Il grande timore è quello di un nuovo prodotto affascinante, in grado di illudere gli utenti, venduto al prezzo (occulto) di beni immateriali come dati, opinioni, capacità di concentrazione. La grande fascinazione del Metaverso sta nell’immediatezza e nella simulazione di realtà complesse e quindi una forte spinta nelle tecniche dell’apprendimento e della comunicazione, oltre che, in prospettiva dell’intrattenimento.
La bussola per navigare in questa ‘meta-realtà’ resta quella indicata dal Rome Call for AI Ethics (cfr. anche il sito), documento sottoscritto in Vaticano dalle grandi imprese digitali, la Pontificia Accademia per la Vita, il Governo Italiano e la FAO nel febbraio 2020. Non si tratta di condannare la tecnologia, ma di abitarla con una presenza etica. Certo, la grande differenza con la realtà, è che queste dimensioni digitali non sono spazi “comuni” e “politici”; l’utente vive in un ambiente di proprietà di un server dell’impresa e alle sue regole non può che sottostare (cfr. Paolo Benanti, in Osservatorio Romano).
Occorre quindi impegnarsi per lo sviluppo di sempre più adeguate regole pubbliche, di scala continentale, a partire dalle proposte dell’Unione europea sul Digital Services Act e sul Digital Market Act. Come ricorda il pontefice, infatti, «l’epoca digitale cambia la percezione dello spazio, del tempo e del corpo», mentre «l’omologazione si afferma come criterio prevalente di aggregazione», cosicché «riconoscere e apprezzare la differenza diventa sempre più difficile». Infatti, gli «utenti sono spesso ridotti a ‘consumatori’, asserviti a interessi privati concentrati nelle mani di pochi». La prospettiva europea di società e partecipazione politica non può davvero cedere di fronte allo sviluppo tecnologico. Deve invece accettare la sfida di conquistare sempre più terreno rispetto alle alternative possibili: quella statunitense di un disimpegno del decisore pubblico a favore del privato e del mercato; quella cinese di un totalitarismo digitale insostenibile per la persona.