di Marco Fornasiero

Che cosa significa essere cittadini europei oggi e quali possono essere le leve per velocizzare il processo di integrazione che stiamo vivendo? Sono queste alcune delle domande che dovremmo porci, soprattutto a fronte del conflitto in corso in Ucraina. La guerra ha avuto ripercussioni, e continuerà ad averne anche in futuro, in molti settori che toccano la vita quotidiana delle persone. Le previsioni economiche di primavera per la zona euro, pubblicate il 16 maggio scorso dalla Commissione europea, hanno previsto una riduzione del PIL dal 4% al 2,7% nel 2022 e dal 2,8% al 2,3% nel 2023, con una diminuzione del prodotto reale entro il 2022 dal 2,1% allo 0,8%. Inoltre, per quanto riguarda l’Italia, si prevede un aumento dell’inflazione al 5,9% e al 2,3%, nel 2022-2023. Questi scenari sono frutto dall’aumento incontrollato dei prezzi dell’energia, come petrolio e gas, i quali hanno avuto a loro volta ripercussioni sulla produzione di generi alimentari e dunque sulla vita dei cittadini europei.

Nonostante tutto, le istituzioni europee e i Capi di Stato e di Governo hanno proseguito con l’attuazione delle transizioni verde e digitale, inaugurate con la Presidenza di David Sassoli del Parlamento europeo, iniziata nel maggio del 2019, e sostenute in ultima istanza dall’Eurocamera con l’approvazione di alcuni dei provvedimenti chiave del pacchetto Fit for 55. Il dibattito sul tema in seno al Parlamento europeo è stato molto ampio e, vista l’importanza dei provvedimenti discussi, è stato necessario proseguire i negoziati,  anche ritardando l’approvazione di alcuni di questi, come avvenuto per il regolamento sul sistema ETS, per il CBAM – il meccanismo di aggiustamento del carbonio alle frontiere, e per il Fondo Sociale per il Clima che verrà votato durate la plenaria del 22-23 giugno.

Ma la vera svolta nel percorso di integrazione europea è avvenuta quando gli Stati membri, assieme alle istituzioni europee, hanno scelto di dotarsi di un bilancio comune, il Next Generation EU – NGEU, per sostenere la ripresa economica europea dopo la pandemia e al contempo favorire lo sviluppo delle transizioni gemelle, quella ambientale e quella digitale. Una decisione anzitutto politica, oltre che economica e normativa, che ha alla base principi quali la solidarietà e il bene comune. Una decisione che ha fatto sentire molti “più europei”.

Un altro settore che negli ultimi mesi ha avuto sviluppi notevoli è quello della difesa comune europea. La decisione di inviare armi in supporto all’Ucraina ha spinto le istituzioni europee a proporre la creazione di un Recovery Fund per la ricostruzione dell’Ucraina e il riarmo europeo. Così facendo, l’UE ha aggirato l’ostacolo dei trattati europei che vietano il finanziamento di operazioni di difesa europea con fondi interni al bilancio UE. Inoltre, l’istituzione di un bilancio comune per la difesa avrebbe anche la funzione di razionalizzare la spesa militare, migliorandone la qualità. Attualmente, infatti, tutti gli Stati membri dell’UE spendono all’anno un totale di circa 200 miliardi di euro per il capitolo “difesa”; un dato che fa riflettere se confrontato con le spese della Russia che si attestano intorno ai 61,7 miliardi di dollari annui.

Il tema del bilancio, dunque, ritorna come elemento determinante per superare le diverse impasse della governance europea e sostenere le reali necessità di un’Europa che sta cambiando e che è chiamata a stare al passo con il mondo. Il Presidente del Consiglio italiano – Mario Draghi, ma anche il Presidente della Repubblica francese – Emmanuel Macron, si sono già espressi più volte a favore dell’istituzione di un bilancio comune europeo e della revisione della normativa europea in materia di bilancio.

Un ruolo chiave verrà ricoperto dalla revisione del Patto di stabilità e crescita del 1997. Quest’ultimo, modificando il trattato di Maastricht del 1992, prevede regole di bilancio ferree come i parametri del 3% per il disavanzo pubblico rispetto al prodotto interno lordo e il 60% per il debito pubblico, oltre a politiche restrittive per bilanci eccessivi come la riduzione del debito pubblico di un ventesimo ogni anno. Il tema da porre oggi non riguarda solo la ragion d’essere di tali criteri ma soprattutto se gli Stati saranno in grado di adempiere ai vincoli di bilancio europei con un’economia in forte rallentamento (a causa della crisi generata dal Covid e ora dal conflitto russo in Ucraina), e con l’innalzamento del debito pubblico dagli Stati membri.

Le sfide della digitalizzazione, di un nuovo modello economico volto alla sostenibilità, di politiche per la gestione dei flussi migratori e per la difesa comune europea non possono essere appannaggio dei singoli Stati, in quanto si muovono dentro logiche e binari internazionali e necessitano di una dimensione sovranazionale strutturale che possa tutelarne gli interessi. Una modifica delle regole di bilancio a favore di politiche monetarie e fiscali espansive, una progressiva cessione della sovranità nazionale verso un bilancio unico per l’Eurozona, potrebbero far compiere uno step in più all’integrazione politica dell’UE, salvaguardando maggiormente gli interessi dei singoli Stati nazionali e facendo sentire i cittadini più europei.