di Arturo De Vita
“Il sangue di milioni di uomini e innumerevoli e inaudite sofferenze, inutili stragi e formidabili rovine sanciscono il patto che vi unisce, con un giuramento che deve cambiare la storia futura del mondo: non più la guerra, non più la guerra! La pace, la pace deve guidare le sorti dei Popoli e dell’intera umanità!”. Con queste parole il 4 ottobre 1965 Papa Paolo VI si rivolgeva all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Le Nazioni Unite si trovavano in un momento difficile a causa delle incertezze mostrate nel fronteggiare le crisi internazionali legate all’acuirsi della Guerra Fredda, solo tre anni prima era esplosa la crisi dei missili di Cuba e perduravano la guerra del Vietnam ed il conflitto del Congo. Proprio in questo periodo di profonda sofferenza e difficoltà, Paolo VI esaltava il ruolo dell’ONU, “La vostra vocazione è quella di affratellare non solo alcuni, ma tutti i Popoli”.
Nel suo storico intervento, il Pontefice richiamava la responsabilità dei singoli stati a darsi regole eguali per tutti e fuggire dalla tentazione dell’orgoglio che provoca le tensioni e le lotte per il predominio, evocando le parole di John Kennedy, brutalmente assassinato a Dallas nel 1963, “L’umanità deve porre fine alla guerra, o la guerra porrà fine all’umanità”. Oggi, come quasi 60 anni fa, il mondo vive una forte crisi politico militare, l’esplosione della Guerra in Ucraina rappresenta solo il suo ultimo atto ed il ruolo dell’ONU è ancora una volta messo in forte discussione, accusato di non essere in grado di prevenire o affrontare crisi tra nazioni.
Le difficoltà del modello di organizzazione internazionale sono da ricondurre all’influenza e leadership di alcune nazioni, le quali, in taluni casi, mascherando intenzioni illegittime, forti della loro credibilità, hanno sollecitato l’avallo delle Nazioni Unite per “operazioni di pace” finalizzate al raggiungimento di interessi di parte, ponendoli al di sopra del bene comune mondiale. In altri casi, invece, l’ONU, a causa dell’assenza di volontà politica dei maggiori stati, si è caratterizzata per una colpevole inattività, assistendo inerme a sanguinosi conflitti. Esempio emblematico il genocidio del popolo Tutsi in Rwanda nel 1994, perpetrato mentre nel territorio erano presenti i Caschi blu. Il ruolo centrale ed imprescindibile dell’ONU, casa del dialogo e delle regole tra stati, chiede di essere riformato così da poter essere maggiormente efficiente in aderenza alla Carta delle Nazioni Unite, dopo ormai piu di 75 anni dalla sua fondazione.
In Italia, l’art. 11 della Costituzione riconosce il ruolo centrale delle organizzazioni internazionali nella risoluzione delle controversie tra nazioni, “consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”. Rispetto al periodo di fondazione delle Nazioni Unite, il contesto attuale è caratterizzato dalla globalizzazione e dalla digitalizzazione, in cui i confini sono più difficili da tracciare. Il modello dello stato-nazione è sempre più fragile e i popoli tendono a riconoscersi in valori ed interessi condivisi ed universali quali ad esempio la tutela dell’ambiente e della dignità umana.
Il sistema di media, più pervasivo e influente nella vita del singolo individuo rispetto al passato, tende ad acuire le diversità tra i popoli, incentivando le conflittualità. La diffusione dei fatti e immagini, secondo una narrazione di parte, chiude spesso la possibilità del dialogo, permettendo che ciascuno mantenga intatti e senza sfumature le idee, gli interessi e le scelte proprie. Il pontificato di Francesco traccia un nuovo percorso nella costruzione della pace, richiamando i popoli ad essere “Artigiani”, affiancando gli stati “Architetti”. Le norme e le regole tracciate dagli stati non possono essere realmente attuate senza un contributo essenziale dei popoli. Un percorso che riguarda i popoli, per il tramite dell’autentico dialogo animato dalla cultura dell’incontro «ognuno svolge un ruolo fondamentale, in un unico progetto creativo, per scrivere una nuova pagina di storia, una pagina piena di speranza, piena di pace, piena di riconciliazione» (Fratelli Tutti, n.216).
Un’importanza centrale è riconosciuta al pluralismo come metodologia che permette ai popoli di collaborare per il raggiungimento del bene comune, partendo dal rispetto della dignità della persona (Jacques Maritain, Il ruolo del principio pluralistico in democrazia, in Id. Ragione e ragioni, Vita e Pensiero, Milano 1982, pp. 258-267). In questa direzione, le confessioni religiose e le istituzioni transnazionali etiche assumono un ruolo centrale nel permettere ai popoli di offrire il loro contributo nella creazione della pace e fraternità universale, fuori dalla logica del capitale e dell’interesse di parte.
L’amicizia di carità tra popoli è la strada per raggiungere un autentico concetto di pace, intesa non tanto come assenza di conflitti quanto come capacità di risolverli in modo non violento, così da assicurare la convivenza tra i popoli. Una riforma delle Nazione Unite potrebbe prevedere di inserire all’interno dell’attuale organigramma, formato da Assemblea Generale e Consiglio di Sicurezza, il Consiglio dell’Amicizia, in cui possano cooperare in maniera permanente i rappresentanti di confessioni religiose e istituzione laiche che pongano al centro della loro esperienza la dignità dell’uomo e la ricerca della Pace. Tale Consiglio dell’Amicizia attribuirebbe un riconoscimento universale ai valori comuni dei popoli, fuggendo dalla logica del predominio che spesso anima le politiche dello stato-nazione.
La missione dell’ONU va oltre la coesistenza tra le nazioni e mira alla collaborazione fraterna, ponendo le fondamenta per il lavoro comune dei vari popoli diretto alla pace e allo sviluppo comune, tendendo ad unire le nazioni in una condizione universale, sollecitando un dialogo tra popoli diversi, chiamati a non rinunciare alla propria legittima identità.