Il “metodo democratico” è indicato dalla Costituzione come modalità con cui i cittadini possono concorrere a “determinare la politica nazionale” (art. 49). Il nostro patto fondamentale punta proprio sui partiti come associazione peculiare, in cui i cittadini possono associarsi a tal fine. Eppure, in questa fase storica persino esponenti politici propongono – provocatoriamente – di eliminare i “partiti” dalla Costituzione. I partiti, è vero, oggi hanno perso molti dei caratteri originari e la loro capacità rappresentativa è in affanno, soprattutto da quando, anni ‘90 – 2000, la loro leadership insegue sondaggi o, peggio ancora, nell’ultimo decennio, i social network. Nel sistema decisionale non sono comunque ammessi “vuoti” di potere: se non sono i partiti, nel sistema della democrazia rappresentativa sarà qualcun altro ad assumere il loro ruolo centrale nel selezionare la classe dirigente, organizzare le elezioni e poi i lavori parlamentari e governativi.

Ci sono almeno tre grandi alternative all’orizzonte. La prima è la democrazia diretta e digitale. L’abbiamo respirata in Italia a partire da circa 10 anni, con l’irrompere nel dibattito di blog e piattaforme per la votazione diretta dei cittadini sulle singole questioni politiche. In Finlandia, nel 2012, è stata approvata una riforma costituzionale che ha introdotto l’obbligo per il Parlamento di votare le iniziative proposte su una piattaforma digitale privata (Open Ministry) e che avessero raggiunto almeno 50mila firme (l’istituto della “Kansalaisaloite”). Dopo aver approvato una legge sul matrimonio omosessuale, la piattaforma è entrata in disuso e il sito di Open Ministry ha smesso di funzionare nel 2016. I problemi di queste esperienze, che abbiamo discusso anche in Italia, ruotano intorno alla manipolazione delle masse, illuse di poter decidere liberamente da gruppi organizzati e ben finanziati, detentori della piattaforma digitale. In realtà i gestori delle piattaforme hanno le chiavi del sistema e anche la capacità di orientare il dibattito per realizzare la propria agenda politica. In caso, poi, di decisione sbagliata, nessuno potrà essere ritenuto responsabile, perché a decidere è un corpo generico: “i cittadini”, “gli utenti”, “la rete”.

Un’alternativa è rappresentata dall’associazionismo tout court, non partitico. Si tratta di esperienze che i cittadini costituiscono per la cura di singoli scopi, come il decoro pubblico, l’assistenza sociale, l’educazione. La nostra Costituzione ammette che “lo svolgimento di attività di interesse generale” sia affidato ai cittadini, laddove gli enti pubblici non riescano ad arrivare secondo il principio della sussidiarietà orizzontale (art. 118 Cost.). Questo canale di partecipazione, tuttavia, non può sostituirsi ai partiti e alla dinamica decisionale che su questi è costruita. Da un punto di vista culturale, inoltre, investire queste realtà di funzioni che vanno oltre la sussidiarietà comporta il rischio di accentuare la polarizzazione e la radicalizzazione sulle singole questioni che le associazioni curano.

La terza opzione è più radicale. Come dimostrano alcuni casi emblematici, è possibile che le istituzioni politico-rappresentative subiscano la concorrenza del circuito decisionale giurisdizionale. In fondo, anche in Italia il giudice colma i vuoti della politica e della legge collegandosi direttamente con la Costituzione o con il diritto dell’Unione europea, soprattutto nei temi più delicati per le persone e conflittuali per la politica, che non riesce ad avere il coraggio di decidere in materia. Pensiamo al “fine vita”: a differenza dei radicali degli anni ’80, che avrebbero fatto ostruzionismo parlamentare, o degli anni ’90, che avrebbero organizzato referendum, l’attivista radicale Cappato si è autodenunciato per provocare un processo e coinvolgere la Corte costituzionale. Insomma, invece di lottare politicamente nelle forme del sistema politico-rappresentativo, la tendenza oggi è scavalcarle. Scommettere sui giudici richiederebbe però alcune garanzie e quindi delle riforme, anche costituzionali, rispetto alla loro legittimazione. E, in ogni caso, ci si sposta in tal modo su un tipo di decisione analitica e non sistemica e sistematica, come invece garantisce o garantirebbe il processo politico-legislativo.

Le diverse alternative alla democrazia rappresentativa, in fondo, non convincono. Ma è vero che la democrazia di stampo europeo è in affanno, anche se non arriva a respirare la radicalizzazione in atto nelle Americhe, con gli Stati Uniti e il Brasile che hanno conosciuto l’assalto dei Parlamenti e, simbolicamente, del dibattito democratico.

Il sistema partitico e parlamentare garantisce il principio del pluralismo, che cioè ogni idea non sia tiranna e si possa tenere sempre presente il “limite” come categoria sana di sviluppo della civiltà: autolimitare le proprie prospettive per consentire un avanzamento di tutti verso un interesse superiore. Se questa prospettiva va perduta e chi conduce il confronto politico segue gli stili del rifiuto della responsabilità delle decisioni, della polarizzazione e radicalizzazione, dell’abbandono del piano sistemico per spostarsi su una mentalità troppo analitica, la società tenderà probabilmente al conflitto e la democrazia si orienterà alle alternative ancora più radicali offerte dai sistemi che ai tempi di Montesquieu si definivano “asiatici” e che oggi esercitano nuove seduzioni.

La frammentazione del quadro partitico è anche figlia di tentativi di eludere il controllo pubblico sulle risorse economiche. Una confusa regolamentazione sui partiti li spinge a pubblicare i bilanci e ad altre regole di trasparenza per accedere al finanziamento indiretto, ma troppo spesso provano a uscire da questi modelli. Si tratta di un nodo da sciogliere.

In generale, le democrazie sono chiamate a fare i conti con due linee di sviluppo. La prima è istituzionale, riguarda cioè la ridefinizione dei rapporti della rappresentanza tra le istituzioni parlamentari e il Governo. La seconda è rispetto all’ethos, allo stile della democrazia, che non può essere separato dalle istituzioni e dalle formule della politica. L’insistere di papa Francesco sul tema della fraternità richiama la necessità di impegnarsi per un rinnovamento della democrazia in Europa. In questo senso, l’opzione della fraternità non è solo un tema culturale e filosofico, ma un preciso punto politico di sviluppo della democrazia. I partiti possono raccogliere la sfida posta dall’accelerazione digitale e dal riemergere prepotente della guerra se riusciranno così a orientarsi allo sviluppo e alla connessione di legami sociali e non di meri interessi elettorali.