La Pasqua sfida la fede di chi è in ricerca perché ci porta a credere non nel Risorto che è stato crocifisso, ma in Gesù Crocifisso che è risorto. Per questo motivo, la risurrezione è il lato luminoso dell’esperienza della morte, il suo compimento più naturale. La risurrezione non è l’esperienza del “tornare indietro” dal regno dei morti, come il ritorno di Euridice, fallito nonostante l’amore di Orfeo. Non è nemmeno l’eterno ritorno del tempo pensato dai Greci. Non è neanche un ripristino di sistema del pc, un azzeramento. Non è neppure la reincarnazione.
La “definizione” di risurrezione nasce dalla contemplazione della croce di Cristo – e con lui di tutti i crocifissi della storia – perché: “la croce sdemonizza Dio, togliendogli la maschera satanica, comune a chi lo prega e a chi lo bestemmia. Ci salva da un dio che non compatisce il nostro male, o è indifferente, o ne è addirittura la causa prima. Ci salva da un dio sadico che ci ha gettati in un’esistenza breve, con la coscienza della morte, e in più, per torturarci meglio, con il desiderio di eternità – un dio che ci avrebbe fornito come unico motivo di vivere la paura di morire che ci fa sbagliare tutto e infine, con soddisfazione somma, ci infliggerebbe una punizione eterna per i nostri errori!” (S. Fausti, in L’idiozia).
Davanti alla croce viene ribaltata anche la nostra idea di Re. Gli imperatori della storia passano e si dimenticano, ma del re crocifisso ancora oggi continuiamo a parlarne. Il suo regno è diverso: Egli non si pone al di sopra degli uomini, sta dalla parte di chi soffre, è nudo, patisce in croce come lui. Nessun Re aveva mai regnato così. Ma c’è di più: in questo regno trovano posto a corte anche i sofferenti e gli ammalati, chi è umiliato e sfruttato, chi è stanco della vita e chi ha fallito. Mentre i potenti di questo mondo inquietano, la sua regalità ci pacifica: i primi condizionano la libertà, il Crocifisso risorto rende liberi. Ma occorre scegliere.
Questo nuovo ordine crea uno scandalo: “Un Dio crocifisso, religiosamente immondo, politicamente irrilevante, è personalmente disperante! Non salva da nessun punto di vista!” (S. Fausti). Invece “pretendere che Dio ci salvi dalla morte salvando sé stesso, è una “bestemmia” contro di lui. Perché lui ci salva non “dalla” morte, bensì “nella” morte, e non salvando, bensì perdendo sé stesso. Se lui non entrasse nella nostra morte, questa resterebbe per noi la minaccia suprema. Ma se lui è presente nella nostra morte, essa non è più separazione, bensì comunione con la sorgente della vita”.
La lotta tra morte e risurrezione è presente in molti personaggi della Passione e del processo a Gesù. In questi volti ci possiamo riconoscere, possiamo rivedere i nostri comportamenti e le nostre debolezze.
Il racconto esaustivo della Passione si trova nel Vangelo di Marco, cap. 15, 16-20, e inizia con le lacrime di Pietro e il tradimento di Giuda. Segue la cattura di Gesù da parte dei soldati romani, che “lo vestono di porpora, e gli cingono una corona di spine intrecciate, e cominciarono a salutarlo: Salve, o re dei giudei! E gli battevano il capo con una canna, e gli sputavano addosso, e, piegando le ginocchia, lo adoravano”. Ci sono alcuni personaggi che possono aiutarci a comprendere la portata della Resurrezione.
Il primo è Simone il Cireneo, che viene da Cirene, in Africa, e probabilmente era un ebreo emigrato in cerca di fortuna. Si trovava lì proprio quando il Crocifisso passava, e Lo ha aiutato a portare il peso della Sua croce. I passanti, invece, “lo bestemmiavano, muovendo il loro capo e dicendo: Veh! tu che distruggi il tempio e lo edifichi in tre giorni: salva te stesso e scendi dalla croce” (v.30). I sommi sacerdoti con gli scribi lo schernivano.
Le donne guardano la scena da lontano. Con loro il Vangelo raggiunge porta anche noi lettori al confronto con Gesù morto, sepolto e risorto. Le donne non fanno niente. Guardano. Si immergono nella realtà che hanno davanti. Il “far niente” della contemplazione cambia il loro cuore: si svuota di sé e si riempie di ciò che contempla.
C’è poi il Centurione Longino, l’unico interprete autentico della croce. Sembrerebbe la persona meno adatta per attraversare la Passione, che non ha nessun titolo se non in negativo: pagano, comandante del plotone di esecuzione, empio, giustiziere del giusto. Eppure “stava lì davanti a lui”. L’evangelista Marco vuol portarci faccia a faccia col Crocifisso, aiutandoci ad immedesimarci nei panni del centurione che lo crocifigge. Longino si confronta davvero con la morte di Gesù, e questa esperienza lo porta a conoscere il Cristo: “Veramente quest’uomo era Figlio di Dio”. Tolto ogni segreto, il Centurione ci aiuta a capire per la prima volta chi è Gesù e chi è Dio.
Infine, Giuseppe d’Arimatea, nobile consigliere e membro del sinedrio che ha giudicato Gesù. In questo intreccio di bene e di male, di persone che fanno la guerra e sono violente e altre che cercano la pace e un senso da dare alla vita attraverso l’amore, Giuseppe cercava il Regno di Dio e si ritrova tra le braccia il corpo di Cristo. Insieme a Nicodemo lo porterà in un giardino dove era iniziata la Creazione. Da allora, per i cristiani, la Pasqua non è solamente il ricordo della liberazione di Israele dalla schiavitù dell’Egitto, ma è soprattutto la festa del corpo di Gesù risorto e dell’amore di Dio, più forte di qualsiasi morte.
È in questo intreccio di ricerca e di sguardi, di violenza e di pace, di senso del limite e di eternità che il Risorto appare per accompagnare la vita di coloro che lo riconoscono e lo accolgono. Il Signore risorto appare dicendo “pace a voi”. È l’incontro tra la sua eternità e la nostra libertà. Ma occorre scegliere.